11/02/2010 | rospe
lanci
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Da qualcosa si dovrà pure iniziare
«La costituzione
dice che abbiamo diritto al lavoro, e non per due settimane
allanno, ma per lanno intero. Perché questo
diritto non ci viene dato? Perché si cerca di tenerci
buoni dandoci un pezzetto di pane in elemosina, condito con
un po di sport?»
P.P. Pasolini
(dalla rubrica Dialoghi con Pasolini,
«Vie nuove», n. 44, 5 novembre 1960)
Da qualcosa si dovrà pure iniziare, penso. I cascami
di ferro per imbottire il mio obice mi si rivoltano contro:
sono come i pezzi di uno di quei giochi di costruzione per
bambini superdotati. Un minuto prima che decidessi di metterti
alla prova era un cubo, adesso è un cumulo di imprecazioni
sciolte e strozzate in gola: xxx dove va questo, dove quest'altro
e per prima cosa
da cosa xxx inizio?
PPP mi lascia incrostazioni minerali sulla pelle del viso,
intorno al contorno degli occhi, sul selciato ruvido delle
labbra arse. Sete. Ho sempre sete e nostalgia di lacrime infantili
quando leggo Pasolini, ma soprattutto quando tento di comprendere
il senso che abbiano le sue pagine per la mia fisiologia.
La chimica delle mie sensazioni, della mia percezione, della
storia. Non lo riconosco padre, come tutti i profeti è
necessariamente sterile. Tutti i suoi sforzi sono sterili,
per questo belli e preziosi. Saranno dispersi. È utile
perché è inattingibile, come le profezie delle
sibille appese sulla volta Sistina, come i commenti alle opere
di poeti-giuristi cinqucenteschi che non leggerò mai.
Pasolini coltivava il mito del fanciullo selvaggio, del giusto
cannibale, dello sporco battezzato ma non redento dalla Sacra
Romana Corporation. Pasolini era un mitografo, ancorché
mitomane, e da falsario irriducibile non sfuggì alla
tentazione di inserire se stesso in una miniatura medioevale:
l'uomo che volle salire sulla croce. C'è un tale snobismo
nella sua poesia che non posso fare a meno di chiamarlo Simon
Pietro. Sulla sua lapide costruisco la mia chiesa, il mio
individualismo.
Parto per il primo lancio: il proiettile è un dialogo
impossibile con l'effigie di Pasolini. La costituzione italiana
dice che la nostra identità si fonda sul lavoro, l'obbligo
al lavoro. Non lavorare, non essere lavoratori in una nazione
di precari e disoccupati elastici fino allo sfinimento vuol
dire essere merce avariata. L'Italia si riposa su un divano
a guardare i mondiali di calcio in Sud Africa. L'Italia ospita
cellule epiteliali morte che prima o poi qualcuno spazzolerà
via.
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