11/09/2011 | rospe
ritrovamenti
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Manhattan, dieci anni
«Ai suoi due
capi, Manhattan è orgogliosa e gigantesca. I grattaceli
più recenti sono straordinariamente belli, di una bellezza
insolente, lirica e cinica. Sfidano il cielo, e ad un tempo,
nei giorni chiari, lo riflettono dalle loro mille finestre
a fior di facciata; a notte, splendono come dolomiti di luce.
La loro verticalità è frutto di speculazione,
ma esprime anche altro: è opera di ingegno e di audacia,
e alberga in sé la spinta verso lalto che ha
generato in Europa, seicento anni prima le cattedrali gotiche.
La religione, in America, è una cosa seria ed energica:
ha poco a che fare con lascesi. Tutte le religioni vi
hanno subito una mutazione verso lattività e
lefficienza, e lefficienza è una religione:
i grattacieli ne sono i templi. Dal tetto del duplice World
Trade Center la vista è vertiginosa come da una vetta
alpina: le pareti scendono a picco per quattrocento metri,
e di vedono in fondo veicoli e pedoni brulicare come insetti
frenetici. Nella splendida baia, groviglio di isole, canali,
istmi, la Statua della Libertà è una nana, ma
lopuscolo che descrive i due colossi gemelli esagera:
Non sarete mai stati altrettanto vicini alle stelle!
Basta andare a Lanzo...»
Primo Levi
(da Tra le vette di Manhattan,
«La Stampa», 23 giugno 1985)
Oggi si celebrano 10 anni esatti da quel momento (il momento
che è fissato nella nostra memoria collettiva recente).
Delle torri hanno, più o meno, parlato tutti: tutti
hanno sentito il bisogno di parlarne. Io mi guardo bene dall'aggiungere
fiato alle trombe, ma leggendo questo breve passo da un reportage
di viaggio di Primo Levi non ho potuto fare a meno di avvertire
un sobbalzo. Leggendo capita.
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